Lettera aperta (agosto 2006)

   

 

    Al direttore Generale

    Al Direttore Sanitario

    A.USL Avezzano/Sulmona

    

    Al Presidente Regione Abruzzo

    All’Assessore alla Sanità

    All’Assessore promozione sociale

    

    

    

Oggetto: Rete dei servizi al malato di Alzheimer nel territorio della Marsica.

    

    

    Introduzione

    L’Associazione Alzheimer Marsica, di volontariato senza scopo di lucro, costituita in data 11 luglio 2005 a Carsoli, intende promuovere l’istituzione di quei servizi necessari per l’assistenza e la cura dei malati affetti da demenza e soprattutto da malattia di Alzheimer (D.A.) e supporto ai loro familiari.

    [...]

    Obiettivo della nostra associazione è quello di stimolare, proporre e collaborare, affinché l’attuale condizione, nel territorio della Marsica, in cui si trovano i malati di Alzheimer e di conseguenza i loro familiari, possa al più presto risolversi in un panorama dove sia possibile attuare un percorso adeguato ad ogni caso di demenza, anziché restare nella situazione dove il principale caregiver (colui che accudisce il malato), per la maggior parte dei casi, resta il solo familiare.

    

    Un’Informazione adeguata e Diagnosi precoce.

    In un contesto, come quello su descritto, nei familiari delle persone affette da D.A. subentra una condizione di isolamento (sia tipo medico che psicosociale), dove non è da escludere anche il sentimento di “vergogna”.  [...] Questa fase può durare anche anni, durante i quali non perviene la giusta diagnosi, poiché lo stato nuovo di cui stiamo parlando viene facilmente confuso con “le normali alterazioni” che ogni personalità può subire durante l’invecchiamento. “L’elemento subdolo” della malattia credo sia, ad oggi, l’aspetto più drammatico della D.A. poiché proprio in questa fase si dovrebbe intervenire con le cure adeguate, e ciò non avviene soprattutto per la mancata diagnosi. In questa fase il paziente va incontro non solo a disturbi cognitivi, ma anche a disturbi del comportamento e della psiche (cambiamenti di personalità, stati di apatia e di agitazione psico-motoria, aggressività verbale e/o fisica, idee deliranti, allucinazioni visive ed uditive).

    “Negli ultimi anni si pone grande attenzione alla diagnosi precoce, in quanto qualsiasi trattamento è più efficace se applicato negli stadi iniziali. […] tuttavia in Italia la maggior parte degli interventi è ancora applicata solo in fasi relativamente avanzate della malattia, sul paziente ormai istituzionalizzato”.[1]

    A fronte di una simile situazione sarebbe bene attuare tutti gli interventi possibili sul campo informativo, rivolti alla popolazione anziana e non solo. Un ruolo fondamentale, come è ovvio, lo svolge il medico di medicina generale (MMG). Poiché la demenza è una malattia, deve essere innanzitutto salvaguardato per il cittadino il diritto a ricevere una diagnosi il più precocemente possibile. Affinché l’opinione pubblica venga allertata tempestivamente, e i MMG possano esercitare efficacemente il sospetto diagnostico di D.A., uno dei presupposti è l’istituzione di servizi per la presa in carico del malato di Alzheimer a seguito della diagnosi.

    Nonostante l’importante contributo Ministeriale che il progetto Cronos ha dato a livello informativo, per un aumento della coscienza collettiva nei confronti dell’emergenza Alzheimer, complessivamente la sensibilità dell’opinione pubblica nei confronti dell’avanzata di questa realtà è ancora molto bassa, o meglio è sintonizzata solo sull’immagine dello “spauracchio”, e dell’aspettativa del vaccino o della cura miracolosa. Si concretizza, ancora una volta, un vero e proprio stigma nei confronti del malato e dei suoi familiari. Nel momento in cui la malattia colpisce si resta soli, con una notevole quantità di farmaci e diversi medici, che loro malgrado non possono aiutarti. Loro non possono intervenire sul fronte assistenziale se non esiste un’efficace rete dei servizi.

    Alla luce di tutto questo la nostra associazione auspica la realizzazione di un’imponente campagna informativa di sensibilizzazione sull’intero territorio della A.USL Avezzano/Sulmona utilizzando la complessità dei mezzi disponibili attraverso le strutture socio-sanitarie esistenti: sedi delle USL, distretti sanitari, poliambulatori, assistenti sociali, studi medici pubblici e privati ecc… Ovviamente tutto ciò deve far capo ad una reale e ben strutturata formazione dei MMG, che saranno i primi a svolgere la funzione di sensibilizzazione, soprattutto attraverso l’applicazione del necessario “Sospetto Diagnostico” al fine di ottenere nel più breve tempo possibile l’eventuale “diagnosi precoce di D.A.”. “Le Aziende USL promuovono momenti formativi specifici per l’utilizzo della scala MMSE. A detti momenti formativi possono partecipare anche i medici di medicina generale che intendano assicurare ai propri assistiti anche una breve valutazione cognitiva. Il MMG adeguatamente formato può sottoporre il soggetto ad una breve valutazione cognitiva tramite la somministrazione di MMSE o SPMSQ (da utilizzarsi in caso di soggetto analfabeta o con cecità o grave ipovisus)”[2].

    [...]

    Affinché l’importante "strumento" della diagnosi precoce abbia un senso, al momento diagnostico deve seguire un’effettiva presa in carico del paziente con D.A. da parte dei servizi socio-sanitari, altrimenti la campagna informativa e la “diagnosi precoce” non farebbero altro che creare delle “frustranti e deludenti aspettative di cura”.

    “La diagnosi precoce e l’intervento nelle fasi lievi della malattia rappresentano un obiettivo strategico dell’intervento sanitario, in quanto consentono di rallentare la progressione della malattia e di preparare i familiari ad affrontare il carico del paziente. Infatti, il rallentamento del declino cognitivo ed il mantenimento delle capacità funzionali hanno effetti positivi in termini di qualità della vita sia dei pazienti che dei familiari, limitando la durata della fase di maggiore gravità e di maggiore peso assistenziale, sociale e psicologico”[3].

    A livello culturale in una prospettiva comunicativo/sanitaria e non solo, un percorso da seguire è quello che vede l’avvento della demenza, non come un normale stato legato alla senescenza, ma come l’insorgere di una patologia “grave”, non guaribile, fin ad ora, ma curabile.

    

    

    Dislocazione dei pazienti seguiti dal centro UVA di Pescina, sul territorio della Marsica (settembre 2005)

 

    Nella Rete dei servizi: Centri Diurni ed RSA con modulo Alzheimer

    Al fine di rendere ancora più efficace il ruolo diagnostico del centro U.V.A. di Pescina e di Avezzano, il territorio della Marsica necessita di servizi specializzati alla cura del malato di Alzheimer. L’apporto farmacologico, comunque necessario nonostante i limiti emersi durante la sperimentazione del progetto Cronos, da solo non basta per rallentare il processo degenerativo innescato dalla D.A.. Il centro diurno permette il mantenimento delle facoltà residue più a lungo rispetto alla semplice gestione domiciliare. Questa soluzione sta prendendo piede in maniera energica negli ultimi anni, poiché presenta diversi aspetti positivi: 1) la non istituzionalizzazione evita quel trauma dovuto all’abbandono del proprio ambiente da parte del paziente di D.A.; 2) la possibilità di applicare più tecniche riabilitative; 3) aiuta in maniera notevole le famiglie coinvolte. Un elemento di non poco conto consiste nella opportunità di seguire il paziente nel centro diurno per un periodo di tempo non limitato alla fase lieve moderata, ma fin quando è possibile. Fin quando la famiglia è in grado di non istituzionalizzare il proprio congiunto è opportuno che il malato di D.A. possa continuare a frequentare il centro. Presupposto di ciò è la dislocazione di simili strutture in funzione della domanda del territorio, considerando che un centro Diurno può contenere fino ad un massimo di trenta pazienti.

    Necessaria, è inoltre, l’istituzione di nuclei Alzheimer all’interno delle RSA esistenti nella nostra A.USL, come per il caso della RSA di Fontecchio in provincia di L’Aquila.

      

Documento redatto da Luigi Michetti (presidente Associazione Alzheimer Marsica dal 2005 al 2007).

Consulenza scientifica: dott.ssa Maria C. Lechiara (Geriatra).

 

Carsoli, 28 agosto 2006

 

Allegati:

1. estratto da “Centro per la valutazione delle demenze”;

2. estratto da “Progetto Cronos News n.7: i risultati dello studio osservazionale”.

         

 

                                                                                             

   

[1] Marina Boccardi,La riabilitazione cognitiva e comportamentale nella demenza: un approccio pratico per le R.S.A., Laboratorio di Epidemiologia e Neuroimaging e UO Alzheimer IRCCS San Giovanni di Dio – FBF, 2004

[2] Regione Emilia Romagna, Ruolo e strumenti per l’attività del medico di medicina generale nell’assistenza ai soggetti affetti da demenza, 2005.

[3] M. C. Lechiara, Progetto di istituzione del servizio “Centro per la valutazione delle demenze” presso l’ospedale civile “S. Rinaldi” di pescina, 2003.

    

    

    

Estratto da

Maria C. Lechiara, Progetto di istituzione del servizio “CENTRO PER LA VALUTAZIONE DELLE DEMENZE”:

    

L’USO DEI DERVIZI

Sotto il profilo dell’accesso e dell’utilizzo dei servizi, nel loro insieme, i dati descrivono un quadro dell’assistenza del malato di Alzheimer deludente e persino preoccupante:

    

    ·        L’informazione sulla malattia e sugli interventi possibili appare del tutto insufficiente;

    

    ·        Il medico di medicina generale non riesce ad assolvere il ruolo di figura di riferimento;

    

    ·        I centri medici in grado di affrontare i problemi posti dalla malattia di Alzheimer sono pochi e perciò la loro distribuzione sul territorio rende oltremodo disagevole ed economicamente impegnativo l’accesso;

    

    ·        Sia le esperienze di ricovero che l’offerta di ricoveri temporali di “sollievo” appaiono molto limitate;

    

    ·        I centri diurni, allo stesso modo, sono insufficienti e diffusi in maniera non omogenea sul territorio e, dunque, rappresentano una risorsa disponibile solo per una minoranza di coloro che ne avrebbero bisogno;

    

    ·        I servizi erogati al domicilio del paziente, come l’assistenza domiciliare integrata e l’Ospedalizzazione domiciliare, che sarebbero elementi fondamentali nella rete per l’assistenza all’anziano affetto da patologie croniche ed invalidanti, rappresentano anch’essi un’offerta molto limitata e per di più circoscritta solo ad alcune aree del paese;

    

    ·        I farmaci di nuova generazione che potrebbero alleviare i deficit cognitivi e funzionali e rallentare la progressione della malattia, tranne alcune isolate eccezioni, sono a carico del paziente.

    

    Pochissimi sono gli utenti che frequentano un Centro Diurno, i pazienti che hanno ottenuto un servizio di assistenza domiciliare integrata sono ancora meno, anche se in questo caso il numero di fruitori aumenta fra i familiari dei pazienti più gravi.

    Anche il ricovero in strutture sanitarie e assistenziali risulta un fenomeno limitato. Si tratta, essenzialmente, di ricoveri in strutture a carattere sanitario a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale, vale a dire ospedali, cui si è rivolto, nell’arco dell’ultimo anno, i pazienti più gravi fra i quali si verificava una alta frequenza di ricoveri con una degenza media  di 19/20 giorni. La motivazione del ricovero è legata principalmente alle patologie associate o all’espletamento di procedure diagnostiche nella fase iniziale di comparsa dei sintomi.

    Il ricovero in strutture socio- assistenziali (case di riposo) siano esse a pagamento, gratuite o parzialmente convenzionate, costituisce un fenomeno quantitativamente irrilevante. In questi casi, seppur limitati alla base del ricovero ci sono, invece, prevalentemente le esigenze di sollievo temporaneo della famiglia dai compiti di assistenza o i disturbi comportamentali del paziente che pongono al caregiver e alla sua famiglia grossi problemi. Per queste ragioni i periodi di degenza in queste strutture sono più lunghi che nel caso dell’ospedale. I dati descrivono bene il quadro della situazione del malato di Alzheimer. Da una parte, nel suo caso il ricovero ospedaliero viene in qualche modo osteggiato poiché la sua patologia non è suscettibile di interventi terapeutici risolutivi; l’accesso agli ospedali è, perciò, generalmente limitato alle patologie associate alla malattia o alla fase della diagnosi. Dall’altra, anche il ricovero in istituzioni per autosufficienti è molto difficile per questi malati che richiedono una assistenza continua. Mentre, dunque, il ricorso ai ricoveri risulta essere decisamente limitato, una recente indagine mette in luce che quasi la totalità dei pazienti ha usufruito, nel corso dell’ultimo anno, di prestazioni sanitarie: assistenza medica nell’88% dei casi, farmaci, non solo specifico per l’Alzheimer, ma per le diverse patologie dell’anziano (84%); anche gli esami di laboratorio sono piuttosto frequenti: li ha praticati oltre il 61% dei soggetti.

    Per quanto riguarda invece i servizi non sanitari, complessivamente oltre il 30% utilizza collaboratrici familiari a pagamento e il 13,8% ha ricevuto assistenza di personale sociale.

    La spesa di tali servizi è spesso parzialmente o totalmente a carico dei pazienti e dei loro familiari. Solo il 41,4% dell’assistenza medica di cui il paziente ha usufruito nell’ultimo anno è stata gratuita.

    Di fronte a una situazione che di fatto rende estremamente difficoltosa per il malato la possibilità di ricoveri anche temporanei e che non riesce a rispondere alla domanda dei servizi alternativi di tipo domiciliare, quali sono i servizi e le figure professionali di riferimento che possono prendersi cura del paziente e della sua famiglia?

    Fra i caregiver intervistati nella suddetta indagine, che essendo iscritti ad associazioni di familiari costituiscono un campione particolarmente sensibilizzato alle problematiche della malattia e informato sulle possibilità di intervento, il 48,6% si rivolge a un centro medico in grado di affrontare i problemi posti dalla malattia di Alzheimer, presso il quale si reca con una frequenza piuttosto assidua, nella maggioranza dei casi mensile (51,4%).

    Sono soprattutto i pazienti ai primi stadi della malattia che utilizzano questi centri (il 61,2% dei malati lievi contro il  più esiguo 29,7% dei più gravi) evidentemente motivati dalla esigenza di una diagnosi precisa e di informazioni chiare sulla malattia, sugli interventi più adeguati e sulle possibili terapie. Tali esigenze spingono questi pazienti anche a fare controlli più assidui rispetto ai pazienti in uno stadio avanzato.

    L’importanza che riveste la possibilità di usufruire dell’assistenza di un CENTRO SPECIALISTICO è chiaramente testimoniata dal fatto che nella quasi totalità dei casi (88,9%) gli utenti di questi servizi se ne dichiarano completamente soddisfatti, anche se per alcuni la lontananza di questi centri dall’abitazione rappresenta un comprensibile motivo di lamentela.[1]

    

    

    Estratto da

    Progetto CRONOS NEWS n.7: “Progetto Cronos: i risultati dello studio osservazionale”, marzo 2003:

    

    Introduzione

    Molte patologie correlate all’invecchiamento sono destinate ad assumere, nei prossimi anni, un peso crescente nella nostra società, sia in termini di carico sociale sia di spesa sanitaria. Tra queste, l’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala le demenze e, in particolare, la demenza di Alzheimer (DA).

    

     […]

    Conclusioni

    La conduzione dello studio osservazionale CRONOS, nel documentare il modesto valore terapeutico dei farmaci inibitori delle colinesterasi nel trattamento della DA, ha costituito anche l’occasione per una riflessione su alcuni temi centrali nella diagnosi e trattamento della demenza in Italia quali:

    

    […]

    ·        gli aspetti assistenziali dei malati e dei loro familiari;

    ·        i diversi approcci terapeutici e riabilitativi;

    ·        la necessaria evoluzione delle 500 UVA, attivate con il progetto CRONOS, in una rete efficace ed efficiente;

    

    ·        una definizione più esplicita del ruolo del medico di medicina generale nelle cure della DA.

    

    […]

    La costituzione di circa 500 UVA nel contesto del progetto CRONOS si è calata in una realtà molto articolata. Prima del progetto la capacità di dare una risposta alla DA in termini clinici era affidata a circa 50 centri specialistici di “eccellenza”. In aggiunta, in modo molto differenziato da regione a regione, ci si è confrontati con supporti socio-sanitari per i quali non esiste un modello “forte” di organizzazione dei servizi in quanto si parla spesso di “Unità Speciali” per le demenze, di Centri Diurni, di assistenza domiciliare integrata, di ricoveri di “sollievo”. Il più delle volte questo tipo di servizi è presente in maniera marginale e non coordinata e spazia all’interno di due realtà che si trovano agli estremi: la casa del paziente e l’istituzionalizzazione.

    Quello che occorrerebbe individuare sono le modalità per conseguire una piena integrazione tra offerta sanitaria e supporto sociale sviluppando a fondo l’idea di una “rete”. Ciò potrebbe essere fatto a partire dalla esperienza delle UVA, prevedendo però un naturale processo di evoluzione di queste strutture, che tenga conto delle diverse realtà assistenziali già presenti, anche se in maniera difforme, nelle diverse regioni. Paziente, medici dei medicina generale e familiari potrebbero in tal modo avere a disposizione l’accesso alla rete attraverso un “nodo” che potrebbe diventare il più importante riferimento clinico e assistenziale nella gestione dei soggetti con DA per usufruire delle diverse strutture delle rete integrata: specialisti, ospedali per acuti, ospedale diurno, assistenza domiciliare integrata, residenze sanitarie assistenziali, ospedalizzazione a domicilio, centro diurno, ecc.

    [1] Maria C. Lechiara, Progetto di istituzione del servizio “Centro per la valutazione delle demenze” presso l’ospedale civile “S. Rinaldi” di pescina, 2005